martedì 16 agosto 2011

STORIA DELLA MIA GENTE - Edoardo Nesi

Mi aspettavo molto di più, o forse qualcosa di diverso, da "Storia della mia gente", opera vincitrice del Premio Strega 2011. Il tema affrontato da Nesi è uno di quelli importanti, che avrebbe potuto dare vita ad una grande storia. L'autore, ex imprenditore tessile, ci racconta infatti la situazione del distretto del tessile pratese, che da florida realtà economica si è trasformato in un territorio in crisi in balia dei fenomeni della globalizzazione. L'analisi da lui fatta è spietata ed è un fortissimo j'accuse alla nostra classe dirigente che non ha saputo capire, affrontare e salvaguardare la realtà delle piccole e medie imprese dalle minacce dell'economia mondiale. E fin qui tutto bene, le argomentazioni sono solide e per molti versi condivisibili, peccato però che il titolo del libro sia "Storia della mia gente" ma di storie di pratesi non c'è traccia. Nesi si limita a raccontarci della sua adolescenza da figlio di papà borghese con il mondo in mano e del suo essere diviso tra l'obbligo dell'impresa di famiglia e il desiderio di essere uno scrittore. Ma questa narrazione risulta essere inutile, se non quasi fastidiosa per il suo indulgere nell'autocompiacimento. Manca del tutto la narrazione della laboriosità dei piccoli imprenditori italiani, su cui per anni la nostra economia ha prosperato e degli operai che hanno sostenuto questa crescita.
Niente da dire invece sulla scrittura di Nesi, incisiva e diretta, piena di citazioni da cui traspare l'amore dell'autore per il lavoro dello scrittore e per la letteratura.

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mercoledì 3 agosto 2011

QUEL CHE RESTA DEL GIORNO - Kazuo Ishiguro

Sono pagine piene di malinconia quelle che compongono il romanzo di Ishiguro. La malinconia di chi, dopo aver dedicato tutta la propria vita al lavoro, si trova  a stilare il bilancio di quello che è stata la sua esistenza, rendendosi conto di quanto può avere perso. La forza di Quel che resta nel giorno è soprattutto nella capacità dell'autore di trasmettere al lettore quelli che sono i sentimenti del suo protagonista, non descrivendoli in maniera diretta, ma facendoci entrare nel suo mondo e nel suo ambiente. Tutto in questo romanzo è crepuscolare e malinconico a partire dal paesaggio della campagna inglese che fa da sfondo al viaggio del personaggio, fino alla dimora in cui ha lavorato per tanti anni che ha ormai perso i fasti di un tempo.  
Sicuramente Ishiguro non ci presenta un personaggio piacevole a cui si ci può facilmente affezionare, anzi più volte nel corso della lettura si sarebbe tentati di prenderlo a schiaffi per scuoterlo e vederlo muoversi seguendo quelli che sono i suoi sentimenti e non il suo senso del dovere. Ma è proprio questo lo scopo che l'autore voleva raggiungere, invitare i suoi lettori a riflettere sulla propria vita per non sprecare se non tutto almeno quel che resta del giorno.

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lunedì 1 agosto 2011

NEUROMANTE - William Gibson

Considerato un "must" per gli amanti del genere cyberpunk, Neuromante offre un inquietante sguardo sul futuro dell'umanità. Con uno stile spigliato e decadente, Gibson ci porta in un domani non lontano, dove la simbiosi uomo-macchina è completa, al punto che si distingue a fatica il confine fra i due mondi. L'uomo è in parte macchina e la macchina è in parte uomo, sebbene la macchina resti ancora confinata in una sorta di dimensione parallela, il cyberspazio appunto, nel quale però Case, il protagonista, ci bazzica spesso e anche volentieri, alla ricerca di informazioni da rubare, di protezioni da scardinare, utilizzando virus informatici e altri strumenti iper-tecnologici. Niente a che vedere con il solito ragazzino nerd che mette in imbarazzo gli amministratori di rete dell'ente militare di turno, Case entra con la propria mente direttamente nel mondo privo di forma e di sostanza nel quale le informazioni scorrono, vengono scambiate o tenute al sicuro, per farne man bassa, per rivenderle al miglior offerente.
Gli spunti di riflessione proposti da Gibson sono numerosi e in gran parte attuali. Lo stile risente un po' dell'epoca in cui il libro è stato scritto, gli anni '80 della droga, della malavita organizzata, delle grandi multinazionali. Oggi questi fenomeni sono stati metabolizzati dall'opinione pubblica ma non per questo hanno cessato di esistere e il corso delle cose, come l'attualità ci indica, non sembra andare in una direzione molto diversa da quella ipotizzata dallo scrittore americano.
Sempre più numerose sono le acquisizioni di imprese più piccole o in difficoltà da parte di aziende di livello mondiale, addirittura in certi casi proprietarie di beni ed enti pubblici, eventi favoriti dalla recente crisi economica. Nulla di strano quindi nel paventare un futuro letteralmente dominato da queste mega-società il cui unico obiettivo è realizzare il profitto e mantenere il proprio status.
Stesso discorso per quanto riguarda la cibernetica, i passi avanti fatti nella genetica permettono di pensare a protesi e dispositivi vari impiantati nel nostro corpo per aiutarci a vivere o a sopravvivere. Niente di strano dunque nell'immaginare personaggi dotati di bracci meccanici, di lenti scure computerizzate al posto degli occhi, di organi "speciali" che possono salvare o compromettere la vita di un uomo.
Il futuro immaginato da William Gibson non è remoto, per certi versi può essere esaltante ma anche pauroso. Se a queste visioni associamo uno stile di scrittura da noir, cinico, disperato, violento, otteniamo una miscela esplosiva, coinvolgente, seducente.
Uno stile che travolge il lettore, lo inchioda con quel modo diretto e un po' volgare di presentare le scene ma che non è facile seguire. Gibson non ti fa stare a tuo agio, il ritmo è incalzante, rari i momenti di quiete, si ha sempre il fiatone e spesso non si fa in tempo a rendersi conto di cosa sta accadendo. Molte cose vengono date per scontate, l'immagine è spesso sfocata, si ha l'impressione di essere perennemente fra il sonno e la veglia, come Case, preda di qualche droga che ci porta sull'orlo di una sensazione onirica, come guardare un film in una lingua incomprensibile senza sottotitoli. A causa di questo torpore affannato, la trama scivola via, sfuggente e resta la sensazione di essere stati trasportati in una dimensione perfettamente realistica, così ricca di dettagli, così precisa nelle descrizioni, così vera da restare abbagliati ma allo stesso tempo di non essere in grado di capire cosa sta accadendo.
Resta poco della storia in sé ma, come ogni sogno agitato, alla fine rimane un senso di inquietudine, di disagio, di incertezza.

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